IN BENIN PER DON SERVAIS

Stefano Di Lullo - don Servais Benin

VIAGGIO IN BENIN PER DON SERVAIS SACERDOTE

 «La casa dell’amico non è mai lontana». Un proverbio oggi tanto più vero anche per la Chiesa torinese, che all’inizio dell’anno ha consolidato un’amicizia fraterna con la diocesi di Natitingou in Benin. C’è un prete, don Servais Sanni Yantoukoua N’Tia, il 5 gennaio ordinato a Natitingou, che per cinque anni si è formato presso il Seminario Maggiore di Torino, frequentando la Facoltà Teologica e prestando servizio presso le parrocchie torinesi di Madonna di Pompei e Sant’Anna.

 All’ordinazione, nella sua diocesi, c’era una folta delegazione in rappresentanza della diocesi di Torino guidata da don Geppe Coha, don Mario Aversano e don Andrea Pacini.Per accogliere gli amici la gente del Benin, che ha al centro delle proprie tradizioni il valore dell’accoglienza, scambia quattro baci di benvenuto e – soprattutto – offre l’acqua, così rara e così preziosa in Africa. Atterrati all’aereoporto internazionale «Cardinal Gantin» di Cotonou, cuore economico del Benin, abbiamo percorso da sud verso nord tutto il Paese. E incontrando la gente e i missionari abbiamo compreso l’esortazione che il Papa rivolse a Cotonou in occasione della Visita pastorale nel novembre 2011: «Alzati Africa e cammina!». Il Benin comincia a camminare con le proprie gambe e questo anche grazie al contributo determinante della Chiesa locale che ha sostenuto il percorso di democratizzazione e che oggi offre concreti aiuti in particolare a sostegno della vita grazie agli orfanotrofi, delle famiglie e del lavoro dei giovani a contrasto dell’emigrazione. A favore della vita in particolare le diocesi di Parakou e Natitingou, a nord del Paese, da alcuni anni sono in prima linea nel contrastare il fenomeno, legato alle religioni tradizionali, dell’abbandono dei «bambini stregone», ovvero bambini nati podalici e dunque considerati di cattivo auspicio per il villaggio. Grazie all’intervento della Chiesa locale questi bambini vengono salvati e accolti negli orfanotrofi, nelle parrocchie o nei vescovadi attraverso un progetto che mira a reinserirli, una volta cresciuti, nelle proprie famiglie e nei propri villaggi dimostrando l’inconsistenza di tali credenze, ancora ampiamente diffuse. Nell’Africa delle guerre tribali il Benin è oggi simbolo di una pacifica convivenza tra etnie e religioni diverse, un miraggio per molti altri Stati africani. Lo unisce al resto dell’Africa però la piaga delle malattie in particolare della malaria, ancora molto diffusa e maggiore causa di mortalità soprattutto nei bambini fino a cinque anni d’età. L’economia del Paese è sottosviluppata e dipende prevalentemente da agricoltura di sussistenza, dalla coltivazione del cotone e da commercio regionale. Il 70% della popolazione è concentrata nel sud del Paese dove sorgono le grandi città (Cotonou, la capitale Porto Novo e Ouidah) caratterizzate da un elevato tasso di inquinamento atmosferico, causato da combustibili altamente inquinanti utilizzati per le moto, principale mezzo di trasporto locale, e le autovetture. L’urbanizzazione rispetto agli Stati confinanti è elevata (55,4%). Quasi il 30% della popolazione è cattolica (il 10% appartiene alle altre confessioni cristiane), il 25% musulmana, le religioni locali tradizionali rappresentano il 6%, ma in realtà esse, costituendo il sostrato delle oltre 40 etnie presenti nel Paese, convivono con le altre religioni e sono ancora ben salde e radicate in particolare nei villaggi.

Villaggio di Sakété – diocesi di Porto Novo, parrocchia Sant’Anna.

È il 30 dicembre ed è domenica. Il villaggio si è alzato presto, in ogni famiglia ci si prepara alla Messa domenicale. Quando arriviamo i nostri occhi sono abbagliati dai colori della festa: vestiti e volti luminosi e gioiosi. La Messa degli adulti è appena terminata, noi partecipiamo a quella dei bambini, molti dei quali sono catecumeni che si preparano a ricevere il battesimo, originari di famiglie appartenenti alla religione tradizionale, recentemente convertite. La chiesa della parrocchia dedicata a Sant’Anna è gremita di bambini, i loro occhi sono puntati su di noi, ci guardano come extraterrestri. La curiosità è troppo forte. Ci vengono dunque incontro per guardarci da vicino e subito ci accolgono come nuovi amici invitandoci a sedersi in mezzo a loro, entusiasti per gli insoliti ospiti. E di bambini ne abbiamo incontrati tanti nel nostro viaggio, numerosissimi in ogni angolo del Paese, sempre i primi a venirci incontro in ogni villaggio o missione che abbiamo visitato. Il parroco padre Emile Okpeia ci spiega che insieme al viceparroco si occupa di 29 villaggi attorno a Sakètè. «Sono in aumento – afferma – le nuove famiglie che si convertono al cattolicesimo». Ci spiega che è fondamentale mantenere le tradizioni familiari e delle diverse etnie dopo il battesimo, cercando però di allontanare le credenze ancestrali tipiche della religione tradizionale, come quelle relative alla presenza di «spiriti maligni», che ostacolano lo sviluppo dei villaggi.

Stefano Di Lullo BeninI bambini stregone e le aziende agro-pastorali 

Nel nord del Paese troviamo un mosaico di villaggi, alcuni più evoluti, altri più arretrati, dove l’acqua è il bene più prezioso. Dall’acqua dipende tutto: agricoltura e allevamento, principali risorse per il sostentamento e il lavoro. In questo quadro si inserisce l’impegno delle diocesi del nord del Benin impegnate in particolare a sostenere la vita, le famiglie, i giovani. Mons. Pascal N’Koue, Arcivescovo di Parakou, già Vescovo di Natitingou, ci spiega come uno dei problemi principali sia il radicamento di credenze ancestrali che fanno capo alle religioni tradizionali come quelle relative ai «bambini stregone». Esse, come accennato, prevedono che, per esempio, se un bambino nasce podalico debba essere abbandonato nella savana perché non sia di cattivo auspicio per il villaggio. «Per contrastare il fenomeno le diocesi di Parakou e Natitingou hanno costituito delle équipe di laici – racconta mons. N’Koue – con il compito di segnalare le nascite imminenti nei diversi villaggi per essere presenti al momento del parto e salvare dunque i bambini portandoli negli orfanotrofi diocesani o in quelli gestiti da monasteri o congregazioni religiose. «La nostra sfida – spiega mons. N’Koue – è quella di non allontanare i bambini ma di accoglierli in strutture il più vicino possibile al proprio villaggio in modo che una volta cresciuti la gente si renda conto dell’infondatezza delle proprie credenze. L’Arcivescovo di Parakou, che da alcuni anni ha adottato come legale rappresentante 15 bambini che vivono in vescovado, sottolinea come il progetto delle diocesi preveda di reinserire i bambini nelle proprie famiglie d’origine e nei propri villaggi, alcuni importanti risultati si sono già ottenuti. «Il principale risultato – conclude – lo scorgiamo negli occhi dei bambini che corrono per il vescovado: è proprio quello di salvaguardare il dono più prezioso, la vita».

 

Le diocesi di Parakou e Natitingou negli ultimi anni stanno puntando sul progetto delle aziende agro-pastorali. Si tratta di centri agricoli acquistati dalle diocesi e gestiti da sacerdoti che hanno come obiettivi principali l’apprendimento del mestiere agricolo per i giovani e il conseguente sbocco lavorativo nell’azienda stessa o altrove in modo che i giovani non emigrino. Inoltre le aziende costituiscono centri di pastorale giovanile per la crescita spirituale dei giovani della diocesi. Il nostro amico torinese don Servais dopo l’ordinazione ha ricevuto l’incarico di vice-direttore presso l’azienda agro-pastorale di Pam Pam nella diocesi di Natitingou. Un’azienda ancora in fase di start up dove l’urgenza, oltre all’ampliamento delle coltivazioni e dell’allevamento presente, è quella di istallare un impianto fotovoltaico a pannelli solari utile per la produzione di energia elettrica che per adesso è assente nel centro a parte il funzionamento di un gruppo elettrogeno che alimenta la struttura solamente due ore alla sera.

L’ordinazione di Servais

Il 5 gennaio la cattedrale di Natitingou è gremita in ogni posto per uno degli eventi più importanti dell’anno: l’ordinazione di quattro nuovi sacerdoti. Alcuni dai villaggi più lontani della diocesi si sono messi in viaggio due giorni prima per raggiungere la cattedrale. Il vestito della festa, fatto cucire apposta per l’occasione, è formato da camicie, pantaloni, tuniche femminili semplici ma accese da un collage di colori e fantasie che rappresentano fiori e frutti tipici della propria terra, su alcuni è tratteggiata l’Africa, su altri l’immagine della Madonna Immacolata, protettrice dell’Africa. La cattedrale appare dunque come un mosaico di colori, composto dalla varietà delle stoffe. L’atmosfera festosa è poi arricchita dal coro con tamburelli, legnetti, maracas. Anche noi indossiamo il nostro vestito africano, donato alla nostra delegazione in segno di accoglienza. Il rito romano della Messa, in francese, mescolato ai canti, alle danze e alle tradizioni locali ci fanno sentire appartenenti alla Chiesa universale che si manifesta in tutti i popoli. La celebrazione di ordinazione è stata presieduta dall’Arcivescovo di Parakou mons. Pascal N’Koue, che insieme all’amministratore apostolico di Natitingou mons. Antoine Sabi Bio, ha voluto ringraziare la diocesi di Torino «per aver con generosità accolto e formato Servais trasmettendo conoscenze e valori che il neo sacerdote potrà far fruttare in Benin». Mons. Sabi Bio ha poi voluto ringraziare ad uno ad uno i rappresentanti della delegazione sottolineando lo stretto rapporto che lega le nostre due diocesi e auspicando che la collaborazione possa continuare in futuro. Infine il ringraziamento commosso nello stile scherzoso, profondo e fraterno dell’abbé Servais: «Carissimi amici italiani, avrei voluto esprimermi in piemontese per dimostrare la gratitudine verso la Chiesa torinese che in questi cinque anni mi ha accolto generosamente e formato, ma visto ‘che suma in Africa, più giù dei Napuli parluma in italiano per farci capire!’: la vostra presenza oggi è un segno straordinario, un’epifania della solidarietà e della fratellanza universale ecclesiale. Grazie infinite, attraverso voi vorrei ringraziare tutta l’Italia, tutta la diocesi di Torino e tutte le parrocchie in cui sono passato, che mi hanno accolto e che custodisco nel cuore».

Stefano DI LULLO
Articolo tratto da "La Voce del Popolo" del 3 febbraio 2013  


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